Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Franco, Nicolò
Titolo
Lettera a Marchese del Vasto Alfonso D'Avalos
Data
[Casale Monferrato], [4 novembre 1542]
Descrizione
Nicolò Franco indirizza una lunga lettera al Marchese del Vasto, in occasione della sua imminente visita a Casale. Comincia con tono petitivo, facendo riferimento al fatto che sarà prolisso, ma non può rimediare a ciò, essendo sconfinata la gioia all'idea di vedere di lì a poco il Marchese. Di questi viene una volta di più lodata la fede, nella speranza che si rechi a Casale con qualche "commodo" per Franco, cioè con aiuti economici. Franco è certo che non appena il Marchese vedrà di cosa ha bisogno, contribuirà e lo aiuterà. Riflette sulla possibilità di non visitarlo, ma il periodo previsto è troppo lungo e sarebbe un inganno, non potendo fingere neppure una malattia. Franco è sicuro del favore del Marchese, vivo anche dopo la pubblicazione delle 'Rime contro Pietro Aretino'. Il Marchese è principe buono e reale, non doppio e maligno, quindi non verrà meno alla buona disposizione verso Franco. Questi è sicuro che il Marchese ha apprezzato le Rime, tranne forse i sonetti su Carlo V. Segue una filza di invettive contro Aretino, additato come il responsabile di quei sonetti: se lui non fosse stato così smodato e triste, infatti, Franco non li avrebbe composti e non sarebbe uscito dal seminato. Franco si sente rassicurato nel favore del Marchese verso di lui dalle molte lettere di Moccia e anche da quanto riferitogli da Annibale Brancazzo e Giovanni Cane, dunque non può evitare di andare a fargli visita. Si mostra inizialmente preoccupato di essere troppo "mal in arnese", ma non potendo acquistare nuove vesti non può mostrarsi pomposo. Del resto, il Marchese sa che a quelli come lui importa poco l'apparenza. Riferimenti ironici ad Aretino, costretto a usare i guanti per nascondere le dita mozzate. Franco esprime preoccupazione per non sapere come comportarsi, non conoscendo le buone maniere. Segue una tirata ironica contro l'eccessiva riverenza e le movenze dettate dalla galenteria spagnola. Franco ha intenzione di salutare il Marchese all'antica; al massimo, non sapendo inchinarsi alla "spagnolesca", lo farà alla "fratesca". Immagina quindi quali parole pronuncerà in occasione del primo incontro con il Marchese, cui rivolge pensieri ironici per aver aiutato Aretino. Ribadisce di essere convinto della bontà del Marchese verso di lui, e immagina che il protettore gli chieda cosa sta scrivendo. Comincia una lunga sezione in cui lamenta la condizione di indigenza in cui si trovano le sue Muse, che, se avessero abbondanza di carta e di inchiostro, potrebbero stare tranquille. Riferimento piccato alla mancata reazione da parte di Maria d'Aragona all'invio e alla dedica del Dialogo delle bellezze. Franco conserva le sue carte in valigia, per paura che possano essere portate via da qualche avaro. Menziona le 'Historie', lasciando intendere che il Marchese gliele ha richieste; con tono tutt'altro che lusinghiero Franco elenca altre storie di cui può nutrirsti la curiosità del Marchese, se non dà la pensione promessa a Franco: Villani, Bembo, novellistica, persino le storie religiose di Pietro Aretino. La seconda domanda potrebbe riguardare la scelta della città e i motivi per cui Franco si trattiene lì. Franco afferma di essersi trattenuto a Casale perché, costretto a lasciare Venezia, voleva trasferirsi in Francia al tempo della tregua tra Francesco I e Carlo V, tregua che però fu interrotta al momento del suo viaggio, impedendogli di partire e costringendolo a restare in Piemonte. Risposta infastidita all'allusione all'amore: per essere innamorati c'è bisogno di "oro e argento", come dimostra il caso di Petrarca e Laura. Per dimostrargli che essere innamorati è dispendioso e non solo in termini economici gli farà leggere la sua 'Philena', libro che raccoglie le pazzie d'amore da lui compiute. Franco insiste sulla sua indigenza e sulla fame a cui soltanto i donativi del Marchese possono porre rimedio. Si erge a difensore di "molti spiriti pellegrini" che muoiono di fame, a fronte del tristo Aretino che invece vede le sue necessità prontamente soddisfatte. Paragona il Marchese a un capo, dal quale dipendono e si muovono tutti gli altri principi. Imitandolo, infatti, molti principi hanno ricompensato immeritatamente Aretino. L'unico che ha resistito e ha tenuto un comportamento degno è stato il duca di Mantova. Per rispettare il suo volere persino Benedetto Agnello ha chiuso il suo rapporto con Aretino. Riporta un episodio, risalente al tempo dell'amicizia veneziana con Aretino, quando questi si prese gioco davanti a lui delle moltissime paia di calze che diversi principi gli avevano donato. Franco racconta questo aneddoto per dimostrare la "coglioneria" dei principi nel donare liberamente a un ignorante come Aretino. Franco rivendica i servigi da lui svolti per Aretino al tempo della loro collaborazione, denunciando che "quanto mostrò di scrivere in quel tempo l'huomo divino, io dico in quel tempo idest finché l'amicitia stette in piede, tutto posso dir veramente essergli stata cortesia de la penna mia". Cita la lettera di Aretino a Sigismondo Fanzino, in cui si lamenta dell'uscita a Casale delle Rime contro di lui. Discorso sarcastico in cui prende di mira le relazioni omosessuali di Aretino. Cita esplicitamente Aristotele ('Analytica posteriora') e in maniera velata un passo delle 'Metamorfosi' ovidiane (Met. III, 318-338). Afferma che l'infamia gettata su Aretino con le Rime è solo un ammonimento, avendo fatto con lui ciò che solitamente si fa con le pulci: prima si colpiscono per stordirle, e poi si uccidono definitivamente. Dopo essersi dilungato in una corposa invettiva contro Aretino e aver tacciato d'infamia quanti lo celebrano, Franco torna a dichiararsi servo fedele del Marchese. Segue una polemica anticlericale, appuntata soprattutto contro i cardinali, esponenti viziosi della Chiesa. Franco si avvia alla conclusione della missiva, scusandosi per la sua prolissità. Almeno, però, può essere certo che il Marchese comprenderà cosa ha causato in Franco la notizia del suo arrivo a Casale. Lo avverte che questa è l'ultima lettera che gli manda finché non provvederà a munirlo di carta e inchiostro. In chiusa Franco anticipa al Marchese di non possedere la cera per chiudere la lettera, che quindi viaggerà libera come i pensieri sviluppati in essa. Chiede al D'Avalos di mandargli un cavallo per permettergli di andargli incontro, ma forse prima avrebbe bisogno di speroni, spada, cappello, a meno che il Marchese non voglia farlo comparire come pedante.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=16454
Nomi
  • [Mittente] Franco, Nicolò
  • [Destinatario] D'Avalos, Alfonso, Marchese del Vasto

Data indicizzazione: 11 giugno 2024