Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Loredan, Giovan Francesco
Titolo
Lettera a Paulo (Paolo) Gueriglio (Guerigli)
Data
Venezia, [s. d.]
Descrizione
Giovan Francesco Loredan scrive da Venezia allo stampatore veneziano Paolo Guerigli che invece soggiorna a Vigodarzere (Padova), luogo in cui Loredan si recava molto spesso.
Loredan invia a Guerigli un’offerta che “stima preziosa, poiché è tutta composta di gioie dell’eloquenza francese”: due discorsi del "Maestro delle Richieste".
[Si tratta infatti della traduzione italiana dei primi due discorsi composti in francese da Antoine Le Maistre (1608-1658), maître des requêtes della cancelleria francese, pubblicati nei "Plaidoyez et Harangues de Monsieur Le Maistre, cy-devant Advocat au Parlement, et Conseiller du Roy en ses conseils d'Estat et privé, donnez au public par Monsieur Iean Issali Advocat au Parlement", Paris, chez Pierre le Petit, 1655, che comprendono 28 discorsi (edizione più completa rispetto alla princeps del 1652 col titolo di "Recueil de Plaidoyez et Harangues", Paris, Michel Bobin, e prima reperibile nei cataloghi italiani). La traduzione e la lettera di Loredan vanno dunque collocati tra il 1655 e il 1661. La traduzione non risulta pubblicata separatamente dal Guerigli. Si segnala una traduzione italiana, diversa da quella del Loredan, stampata con testo a fronte e doppio frontespizio francese e italiano ("Li placiti e gli aringhi di M. Antonio le Maistre", Venezia, Michele Hertz, 1703].
Nel “Discorso Primo”, che nell'originale porta il titolo di "Plaidoyé premier, pour Iacque de Poissy, Escuyer, sieur de Clery, et ses freres, appellans. Contre Damoiselle Magdelaine de Poissy leur seur, intimée", l'avvocato si rivolge ai giudici sostenendo la causa di un affettuosissimo e meritevole padre – Claudio di Poissy, ormai deceduto – il quale, ancora in vita, decise di escludere dal suo testamento sua figlia, in quanto ella gli avrebbe arrecato un dannosissimo e terribile disonore che “secondo le leggi di Enrico II” (Enrico di Valois re di Francia dal 1547 al 1559) nessun padre mai dovrebbe subire.
La giovane dal racconto, infatti, sembra aver recato più volte difficoltà al padre in quanto inizialmente (nel 1612), non convinta di volersi mai sposare, aveva chiesto al caro padre di poter seguire la Regola Carmelitana che già sua sorella maggiore aveva intrapreso diventando Governatrice della casa di Dio di Belmonte. Il padre, in un primo momento non favorevole e rattristato dalle dure condizioni di vita che la sua giovane figlia avrebbe intrapreso, alla fine si era convinto e aveva accettato questa scelta.
Dopo pochi anni, secondo l’avvocato, la “passione furiosa” della giovane aveva condotto quest’ultima a fuggire da quella vita dopo essersi invaghita di un certo Claudio Vaillant [Claude Vaillant], ovvero l’artista ordinario di quel monastero [nell'originale: "Apoticaire ordinaire". I due giovani si erano sposati in segreto grazie a un religioso forestiero presso la località di San Germano [Saint-Germain en Laye].
La narratio degli eventi è seguita da un lungo passo in cui l’avvocato fa appello a Dio, alla Natura, alla Chiesa e alla potenza delle Leggi – citando persino l’eroe greco Trifonio – per convincere i giudici della sua presa di posizione contro la donna.
Il “Discorso Secondo in Risposta del Primo” è intitolato nell'originale "Plaidoyé second, contraire au premier. Pour Damoiselle Magdelaine de Poissy, intimée. Contre Iacque de Poissy, Escuyer, sieur de Clery, et ses freres, appellans", ed è preceduto da una prefazione del curatore in cui si dichiara che l'autore sottrasse qualche giorno ai suoi studi per comporre un finto discorso contrario alla sua stessa prima arringa, e aggiunge: "c'est une chose assez rare, et tres-agreable de voir une cause traitée des deux costez par un mesme auteur". In questo secondo discorso, il nome della fanciulla viene riscattato dalla difesa del suo avvocato, che dà dei fatti una versione affatto diversa. Questa giovane infatti venne privata della sua libertà fino ai trent’anni, soggiogata dall’avarizia dei propri fratelli e dalla volontà paterna che per dieci anni la costrinse alla vita religiosa, facendole perdere anche tutti i suoi beni. Il padre della giovane donna, infatti, avendo molti figli, non poteva accontentarli in modo eguale nel testamento e decise di collocare qualcuna delle sue figlie in convento per evitare di includere anch’esse nell’eredità nonostante queste mancassero di vocazione.
Successivamente fu una Superiora del monastero che nel 1620, rendendosi conto dell’infelicità e della miseria della giovane, decise di mandarla via da quella casa di Dio e solo dopo qualche tempo la ragazza sposò un giovane di nome Claudio Vaillant in una chiesa al cospetto di Dio.
Tra citazioni del IV libro dell’Eneide di Virgilio (Il suicidio di Didone) si giunge alla conclusione che la giovane non ebbe più contatti con il padre in quanto quest’ultimo – consapevole del matrimonio felice della figlia – preferì non aver alcun legame con lei fino alla sua morte, anche se il tempo avrebbe dovuto attenuare un’ingiuria così leggera. Era più giusto dunque per un padre che la ragazza fosse costretta alla vocazione senza alcun interesse o che trovasse la felicità in un matrimonio celebrato davanti a Dio?
L’avvocato difensore della giovane continua il discorso facendo appello alle Leggi Romane che sostengono la libertà di potersi maritare senza alcun ostacolo come la negligenza, l’autorità o l’ostinazione di persone esterne a quell’unione: le persone (uomini e donne) godono di libertà individuale e possono dunque decidere cosa fare della propria vita.
Nel testo poi segue l’elenco di varie leggi, romane e cristiane, che contrastano e fanno cadere una dopo l’altra tutte le accuse rivolte alla giovane figlia.
L’avvocato prosegue sostenendo che le giovani figlie non debbano godere della libertà di emancipazione quando hanno meno di 25 anni ma ritenendo sbagliato che, quando questa età viene raggiunta, la loro situazione non muti; mentre i figli maschi sono liberi dalle volontà paterne anche prima di aver compiuto il loro venticinquesimo anno di vita.
Gli stessi fratelli della giovane al contrario dovrebbero essere accusati di aver abusato della debolezza di spirito del padre “nata da un’estrema vecchiezza e aumentata dalla violenza del male”, avendo fatto pressioni per orientare il testamento a loro favore.
Nella conclusione l’avvocato difensore chiede ai giudici di insegnare ai fratelli a non volersi arricchire delle spoglie delle sorelle opprimendo l’autorità dei padri e disonorando per primi la loro casa: fratelli che, per ereditare beni materiali, avrebbero voluto seppellire una sorella ancora viva, sangue del loro sangue, come se fosse morta.
[L’intero discorso di difesa risulta moderno e molto lontano dal pensiero dell’epoca in cui le donne sottostavano in giovane età alla figura paterna e successivamente al marito a cui venivano affidate.
Tra le forme di costrizione che ritroviamo nel discorso vi era proprio la “monacazione forzata” – un problema molto presente nella Venezia seicentesca del Loredan – che veniva imposta con l’inganno dai padri alle giovani donne: costume denunciato per esempio nelle sue opere dalla scrittrice e monaca veneziana Arcangela Tarabotti (Venezia, 24 febbraio 1604 – 28 febbraio 1652), corrispondente di Loredan].
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=15151
Nomi
  • [Mittente] Loredan, Giovan Francesco
  • [Destinatario] Gueriglio (Guerigli), Paulo (Paolo)

Data indicizzazione: 11 giugno 2024