Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Groto, Luigi
Titolo
Lettera a Lodovico Dolce
Data
Adria, 23 febbraio 1564
Descrizione
Luigi Groto scrive a Lodovico Dolce, dicendo che se avesse più eloquenza potrebbe scrivergli parole degne di lui; ma, pur in uno stile umile, il motivo per scrivere questa lettera è alto: nasce dall’affetto che gli porta sin dalla prima volta che gli ha fatto visita con Antonio Molino. Tutti conoscono la cortesia Dolce, e la sua dolcezza non sta solo nel cognome ma anche nelle opere e nell’animo; questi sono i motivi che lo hanno spinto a scrivere a Dolce, anche se la sua lettera è paragonabile al baleno, che sparisce prima di comparire, e all’aborto, che muore prima di nascere. Per Groto è una peculiare il fatto che nel loro tempo siano due uomini chiamati Lodovico ad avere la supremazia nelle traduzioni dal latino “in lingua materna”: Lodovico Domenichi, divino “in traslatar prose”, e Lodovico Dolce, le traduzioni del quale gli fanno benedire Nembrotte [Nembrod, il cui intervento nella costruzione della torre non ha in realtà fondamento nel testo biblico] e la torre di Babele, che hanno sì confuso i linguaggi, ma anche fatto nascere “gli ingegni di sì eccellenti traducitori”. Groto chiede a Dolce quale potrebbe essere il dono che Omero potrebbe fargli, sapendo che ora non è più imprigionato tra i confini della Grecia, ma che è arrivato in Italia. Anche Euripide e Seneca gli sono obbligati, per aver portato le loro tragedie a far piangere non solo Venezia, ma tutta l’Italia [‘La Hecuba tragedia di Messer Lodovico Dolce, tratta da Euripide’, Venezia, Giolito, 1543; ‘Le Tragedie di Seneca, tradotte da Messer Lodovico Dolce’, Venezia, Sessa, 1560]. Palmerino e Primaleone, se mai sono stati composti “dal primo auttore in Idioma Spagnuolo”, sono più onorati ora dalla lingua toscana di Dolce [‘Palmerino’ e ‘Primaleone, figliuolo di Palmerino’, Venezia, Sessa, 1561 e 1562]. Carlo V trae più onore dall’opera di Dolce [‘Vita dell’invittissimo e gloriosissimo imperador Carlo Quinto’, Venezia, Giolito, 1561] che dalle sue gesta; a Florio piace sicuramente più stare nelle rime di Dolce che tra le braccia di Biancofiore [‘L’amore di Florio et di Biancofiore’, Venezia, Bernardino de’ Vitali, 1532; riduzione in ottave del 'Filocolo' di Boccaccio]. Tutti questi lo amano, ma due autori lo odiano: Plauto, diviso tra la vergogna di sé stesso e l’invidia per Dolce, dicendo come Petrarca “io stesso del mio mal ministro fui” [traduzioni plautine sono: ‘Il Marito’ e ‘Il roffiano’, Venezia, Giolito, 1545 e 1551; ‘Triumphus Cupidinis’, II 61, ma "ed io del dolor mio ministro fui"]; Cicerone, perché lo splendore delle traduzioni di Dolce delle sue orazioni offusca le originali, tanto che non saranno più aperte da nessuno [‘Le orationi di Marco Tullio Cicerone […]. Con la vita dell’autore, con un breve discorso in materia di rhetorica’, Venezia, Giolito, 1562]. Ovidio, invece, vedendo le sue 'Metamorfosi' tradotte in greco si era insuperbito, ma vedendole ora in toscano [‘Il primo libro delle Trasformationi d’Ovidio da messer Lodovico Dolce in volgare tradotto’, Venezia, Bindoni e Pasini, 1538, e ‘Le Trasformationi di Messer Lodovico Dolce’, Venezia, Giolito, 1553] si affligge perché ora gli uomini cambieranno dieci delle sue opere latine con una in volgare. Ora Groto chiude la digressione, perché le muse toscane lo guardano in malo modo perché toglie tempo a Dolce; gli chiede però di accettare i versi che allega a questa lettera pubblicandoli nel Boiardo che sta riformando “a guisa d’orsa” [Plinio, ‘Naturalis Historia', VIII 54, narrava che le orse dessero forma ai nuovi nati leccandoli; del progetto di Dolce su Boiardo null'altra notizia è pervenuta] in modo da mostrare quanto Groto ammiri le doti di Dolce, luminose come il sole e paradisiache.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12159
Nomi
  • [Mittente] Groto, Luigi
  • [Destinatario] Dolce, Lodovico

Data indicizzazione: 11 giugno 2024