Scheda risorsa
Sito web
Archilet
Tipo risorsa
Lettera
Autore
Loredan, Giovan Francesco
Titolo
Lettera a Ottaviano Valier
Data
Venezia, [s. d.]
Descrizione
Loredan chiede al Valier [Zio di sua moglie, Laura di Giovanni Valier, che sposò a Venezia l'8 giugno 1638] di compatire - giacché una narrazione storica richiede studio e tempo sui libri - la freddezza e i lunghi tempi di arrivo degli scritti; egli spera infatti che questo possa almeno valere il buon contenuto che trasmettono; dunque invita il destinatario alla lettura della quarta vita dei Re di Portogallo, entro un progetto che doveva comprendere tutti i re da Alfonso I [Alfonso Henriques di Borgogna, detto il Conquistatore, che regnò dal 1139 al 1185] fino a Giovanni Duca di Braganza, "che al presente regna" [Giovanni IV di Portogallo detto il Fortunato, in carica dal 1640 al 1656; è quindi possibile datare grossolanamente questa sezione di lettere in un torno di 13 anni, dall'incoronazione del sovrano portoghese, alla pubblicazione dell'edizione delle stesse, nel 1653]. Sancho II [Sancho Alfonso, detto il Monaco, il Re col cappuccio da monaco] nacque in Conimbria [Coimbra] l'8 Settembre dell'anno 1207; fin dalla nascita gravemente malato, fece credere "di dover prima arrivare al sepolcro che alla Corona". La madre dopo aver provato ogni cura ricorse alle grazie del Cielo, facendo voto di fargli portare la Cuculla da religioso [sopravveste dei frati, completata da un cappuccio]. Così passò l'adolescenza, il che portò il popolo, spavaldo nelle parole come nei giudizi, a soprannominarlo Sancho Cucullato. Prese l'amministrazione del Regno a ventisei anni, avendoli passati quasi tutti chiuso in una stufa o un bagno per cercare di guarire, anziché apprendere gli insegnamenti necessari al governo. Condannato quindi all'infermità, sia fisica che mentale, e poco idoneo al comando, si servì di Ministri [plenipotenziari] per esercitare il potere, tanto che questi di Re gli lasciarono solo il nome. Si congiunse in matrimonio con Messa Lopez, che, sebbene di sangue reale, vedova di Alvaro di Castro Cavaliere di Antica e Regia nobiltà, era inferiore alla condizione di Re Sancho tanto da non esserne una degna consorte. Sancho accettò le nozze per soddisfare più i suoi favoriti che il proprio sentimento; intanto la Regina, o per mostrar gratitudine o per qualche pensiero disonesto, si mise a sostenere con ogni eccesso i favoriti del Re. Questi insuperbiti dall'amore dei reali non tralasciarono cosa che potesse arricchirli, gravando sui sudditi e uccidendo lo Stato. Molti della prima nobiltà si rivolsero al Re per spingerlo a fermare la fame di questi uomini cattivi che opprimevano il popolo e che riducevano in miseria tutto il suo regno, accusandoli pubblicamente. Inizialmente Sancho, superando la pietà della sua natura, era intenzionato a punire i suoi favoriti accusati, ma poi, convinto dagli artifici della Regina, cambiò opinione; ella gli fece credere che le accuse nascessero dall'invidia della nobiltà, dove puniti i favoriti, questi [la prima nobiltà che mosse le accuse] avrebbero trionfato e goduto del suo amore e della sua fede. Alcuni Prelati, mossi dall'attaccamento alla patria, se non per il loro interesse, aggiunge Loredan, posero al Sommo Pontefice la questione del giogo sotto cui la Regina teneva un impotente e debole Re; aggiungendo inoltre che il matrimonio era stato celebrato in grado proibito, essendovi tra gli sposi un legame di sangue e non avendo essi richiesto la dispensa alla Santa Sede. Il Pontefice Gregorio IX esortò Re Sancho a liberarsi della moglie in un arco di tempo stabilito; inviò a questo scopo un suo Legato in Portogallo, il Vescovo Sabinense. Inizialmente Re Sancho mostrò umiltà e ubbidienza ma, ripartito il legato pontificio, egli ritornò nuovamente tra le braccia della Regina, tanto che i semplici [la plebe ignorante] credettero che egli fosse vittima di qualche magia o incantesimo amoroso. I famigliari della Regina, al primo posto nel governo del Regno, esercitarono con arroganza i propri poteri per raggiungere i loro scopi: spogliavano il popolo di ogni bene con latrocini, dispensavano cariche e titoli a loro piacimento e abusavano della Giustizia Reale; non vi era cosa umana o divina che non venisse contaminata dalla loro crudeltà e avarizia. Concorrevano alla rovina del Regno non solo i poteri assoluti della Regina, ma anche l'inettitudine del Re: alcuni Prelati ricorsero al Pontefice Innocenzo [IV] che nel Sinodo Legionense decretò, col consenso di tutti, che Alfonso fratello del Re Sancho, richiamato da Bologna, venisse assunto al comando, per rimediare ai disordini. Alfonso giunse in armi e si impossessò della maggior parte del Portogallo; Sancho, abbandonato contro l'esercito del Re di Castiglia, senza speranze e avvilito, licenziò le milizie e si ritirò a Toledo, dove con spirito di devozione e ammirabile sofferenza si dedicò alla vita privata. A Toledo dispensò larghe ricchezze ai poveri, fece costruire un piccolo tempio nel quale, di giorno e di notte, implorava ininterrottamente la pietà e la misericordia del Signore Dio. In questo tempo non uscirono dalla sua bocca parole di sdegno o di dolore; sebbene provocato dall'insolenza di quelli che disprezzavano la Maestà regale senza Regno, egli, scrive il Loredan, si esprimeva con parole di bontà e mansuetudine. Mentre egli in esilio esercitava la pazienza, in Portogallo molti suoi sudditi dimostravano ancora segni di fedeltà nei suoi confronti: i governatori da lui posti al comando non lo abbandonarono mai, nè cedettero il potere ai concorrenti; non potevano destituirli nè le preghiere dei congiunti, né il potere dei Pontefici o l'esercito del Re Alfonso; essi con generosa fede resistettero ai pericoli e agli assedi fino agli ultimi anni di vita di Re Sancho. Uno di questi fu Ferdinando Pacieco [Pacheco], che preferì morire piuttosto che consegnare la fortezza a lui affidata. L'altro, Martin Freira, dopo un anno di assedio in Conimbria, fu avvisato da Alfonso della morte del Re: egli, pattuita una tregua, andò a Toledo, aprì il sepolcro e pose nelle mani del Re defunto le chiavi del castello; tornato da Alfonso gli restituì la piazzaforte scusandosi, ora sciolto da quel vincolo di giuramento di fede al suo Re. Alfonso, ammirando la generosità dell'uomo, gli confermò la carica, senza volere altro da lui che non un rinnovato e inviolabile giuramento. Martin rese grazie al Re, ma rifiutò l'impegno ammonendo i suoi posteri, magari obbligati dal giuramento, di non intraprendere mai la difesa di alcuna piazzaforte. Conclude il Loredan, dapprima con una curiosa descrizione fisica: Re Sancho II morì nel 1245 a trentanove anni avendone regnati tredici. Era di bell'aspetto e portava sul volto una non ordinaria Maestà; aveva il naso assai grande che però non lo deturpava; aveva molta cura della sua barba che era di un colore quasi rosso; il colore del viso era simile a quello della terra, e i suoi continui malanni lasciavano vedere in lui una continua pallidezza; poi con un elogio ai suoi valori: la Pietà era il suo principale ornamento: non vi era delitto che più lo irritava, scrive, che quello bagnato di sangue; non mancò altro a Sancho, per renderlo degno dei maggiori encomi, se non la salute e il consiglio di uomini prudenti e fedeli. Queste due sole cose furono la causa per cui un uomo giusto e buono cadde nelle maledicenze degli uomini come iniquo e scellerato. Fu sepolto nella Cappella Regale di Toledo da lui fatta costruire; su questo sono discordi gli scrittori, perché, ricostruito e ampliato il sito, vennero ridisposti i sepolcri senza più gli epitaffi che identificavano il nome dei defunti, perciò su questo non si può che trarre giudizio senza fondamento; ma ciò non altera la Storia. Loredan prega il destinatario di conservare il suo amore verso di lui e si congeda.
URL
http://www.archilet.it/Lettera.aspx?IdLettera=12010
Nomi
  • [Mittente] Loredan, Giovan Francesco
  • [Destinatario] Valier, Ottaviano

Data indicizzazione: 09 ottobre 2021